Museo_Comunita_Greco_Orientale_Trieste

Museo della Comunità Greco Orientale

Il museo, che sorge a fianco della neoclassica Chiesa di San Nicolò, presenta una raccolta di icone, quadri e oggetti sacri. Fra le opere della tradizione ortodossa vi è la ricca collezione di icone, opere che vanno dal XV al XX secolo, di produzione greca, russa, slava e medio orientale, tra cui quelle realizzate dai monaci del Monte Athos sino a quelle dei pittori greci operanti a Trieste.

Le opere di tradizione occidentale e cattolica annoverano una Sacra conversazione di scuola veneta del Cinquecento, la Presentazione della Vergine al Tempio del Maestro delle storie di Sant’Agnese, un allievo del Bramantino, e la Susanna e i vecchioni opera fiamminga del Seicento.

Tra i ritratti dei personaggi benemeriti della comunità vi è quello di Alessandro de Manussi realizzato da Antonio Lonza, il barone Ambrogio di Stefano Ralli ritratto da Eugenio Scomparini e ancora i ritratti del barone Demetrio Economo opera di Luigi Sorio, quello di Giovanni Scaramangà realizzato da Zangrando e quello di Konstantinos Hatzikonsta di Alfredo Tominz, nonchè opere dedicate alla Rivoluzione greca del 1821.

 
 
 
 
 
 
 
 

Informazioni


Indirizzo: Via III Novembre 7, Trieste

Tel.: 040 635614

Fax: 040 634830

Informazioni: www.comgrecotrieste.it

E-mail: comgrots@tin.it

Orari di apertura: mercoledì 15.30-18.30; giovedì e venerdì 9.30-12.30

Visite: a cura dei volontari per il patrimonio del Touring Club Italiano di Trieste

Ingresso: gratuito

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ALTRO IN ZONA
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Civico Orto Botanico

Lo splendido giardino del Civico Orto Botanico si arrampica lungo il pendio di una collina del suburbio triestino, nell’area di Chiadino, situato ai margini di una vasta area boschiva a crescita spontanea ­– il Bosco Farneto – e in parte coltivata artificialmente, il Bosco dei Pini. Il giardino si dipana attraverso varie curve di livello, percorse da numerose passeggiate, che individuano i settori delle diverse specie botaniche.

L’Orto venne inaugurato nel 1843 per sperimentare l’attecchimeto del pino nero austriaco sul Carso, sotto la direzione del farmacista Bartolomeo Biasoletto che trasferì qui anche le piante provenienti da un orto farmaceutico sito nella campagna detta “La Fontana”, nell’odierna via del Coroneo.

Nel 1861 subentra alla conduzione Muzio de Tommasini, già podestà di Trieste nonchè ricercatore botanico, che introdusse le specie rinvenute durante le sue spedizioni sulle Alpi Giulie, in Istria e Dalmazia, nel tentativo trasformare il giardino in un vero istituto scientifico. Nel 1871 entrarono a far parte della collezione anche le rare piante provenienti dal giardino di Villa Murat che era di proprietà della ricercatrice botanica Elisa Braig.

L’Orto botanico fu aperto al “pubblico passeggio” nel 1873 con una delibera della Giunta municipale e nel 1877 venne pubblicato il primo catalogo per lo scambio di semi Index seminum creato da de Tommasini e Raimondo Tominz, allora ispettore alle pubbliche piantagioni.

A partire dal 1903 Carlo de Marchesetti fece dell’Orto una pubblica istituzione annessa al Museo di storia naturale, consentendo all’area di raggiungere la sua massima espansione e l’attuale planimetria. Furono, infatti, introdotti i settori delle specie palustri e di quelle utilizzate a scopi industriali, economici e commestibili.

Nel corso del XX secolo si è aggiunta una sezione dedicata alle piante medicinali e una alla flora degli ambienti rocciosi.

L’Orto è stato riaperto al pubblico nel 1997 dopo un intervento di restauro durato sei anni e curato da Sergio Dolce, allora direttore dei Civici Musei Scientifici.

Lungo il perimetro dell’orto sono ospitate alcune collezioni di piante ornamentali, tra cui: edera, ortensia, hosta, elleboro, peonia, rosa, viola; varie bulbose a fioritura primaverile come crochi, bucaneve, piè di gallo; ed autunnale quali zafferanastro giallo.

Nella sezione Florilegio di piante magiche sono raccolte le principali piante dai significati magici, religiosi e mitologici, disposte in uno scenario di suggestioni esoteriche, lambite dalle acque di una fontana di pietra. Non un monumento alla superstizione, ma una visione metaforica del rapporto dell’uomo con la natura e l’ignoto. Suggestione di una scienza moderna, quella farmacologica, che deriva da una conoscenza antica di tradizioni che legano i poteri officinali ai tabù e all’occultismo.

Il Giardino dei semplici, dedicato alle piante officinali, propone una sistematica panoramica delle piante iscritte nell’elenco della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana, integrato con quelle presenti in studi di etnobotanica del Friuli Venezia Giulia, su liste storiche e su ricerche riguardanti le piante officinali del Litorale.

All’interno delle vasche prosperano diverse specie acquatiche tra cui i fiori di loto (Nelumbo sp.), in piena fioritura nel mese di luglio ed agosto, con colori cangianti che sfumano nelle nuance del rosa, del bianco e del giallo.

Le Piante alimentari, scelte secondo i criteri della fitoalimurgia, sono state raggruppate in base ai diversi ambienti di crescita delle singole specie, per far sì che il visitatore sia facilitato a riconoscerle in natura.

Il tradizionale Giardino formale con aiuole delimitate da basse siepi di bosso raccoglie diverse varietà di piante ornamentali che fioriscono in diversi periodi dell’anno. Questo tipo di giardino artificiale è frutto di una tradizione antica come la storia della civiltà: la floricoltura risponde, infatti, a una radicata inclinazione dell’uomo a ordinare in forme stabili e simmetriche le creazioni multiformi e intricate della natura selvaggia.

Il settore delle Piante tintorie vuol far conoscere alcune delle principali specie storicamente usate dai tintori, alle quali sono affiancate le spontanee di uso più limitato e locale, e le esotiche che a causa del rigido clima invernale devono essere protette nelle serre.

Il percorso nell’orto dei veleni si snoda fra le differenti specie di piante velenose, tossiche e letali accompagnate da specifiche informazioni scientifiche, unitamente a curiosità e loro impieghi, fra cui i numerosi utilizzi terapeutici delle varie sostanze tossiche.

Nel Percorso Geopaleontologico sono raccolti in una ventina di espositori le rocce e i fossili più comuni del Carso triestino. I campioni sono presentati in ordine temporale, dai più antichi (Aptiano-Albiano) ai più recenti (Quaternario).

Il parco offre, inoltre, un habitat naturale adatto alla conservazione dei piccoli animali che nidificano in parchi e giardini, quali uccelli, pipistrelli, ricci ed orbettini.

 

Informazioni

Superficie totale: 1,00 ha

Impianto planimetrico: informale, di forma irregolare con percorsi

Condizione giuridica: proprietà pubblica, Comune di Trieste

Specie botaniche di rilievo: albero del caffè (o albero dei cervi), albero dei tulipani, cipresso, ginkgo biloba, pioppo cipressino, spino di Giuda

Indirizzo: via Marchesetti 2, Trieste

Orari di apertura: 8 marzo–14 novembre

sabato e domenica 9.00-14.00;

lunedì e mercoledì 9.00 -17.00;

martedì, giovedì e venerdì 9.00 -13.00.

ingresso gratuito

Telefono-Fax: +39 040 360068

Cell.:+39 348 6393055

e-mail: ortobotanico@comune.trieste.it

Come arrivarci: autobus Trieste Trasporti, Linee 25, 26 (diretti)

26/ (festivo)

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ALTRO IN ZONA
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Bajta

Ristoro agrituristico
con alloggi, vigneti e cantine

Carni e salumi di propria produzione

Bottega enogastronomica

 

La fattoria carsica Bajta è un azienda vitivinicola e zootecnica gestita dalla famiglia Skerlj. Coltiva esclusivamente vitigni autoctoni del Carso, come la Vitovska, la Malvasia e il Terrano, che vinifica e imbottiglia in proprio.

Tutti gli animali – sia i suini sia i bovini di razza Scottish Highland – vengono allevati allo stato brado consentendo un’ottimale utilizzo delle risorse naturali che il territorio offre.

La famiglia Skerlj gestisce anche un ristoro agrituristico dove si possono riscoprire i genuini sapori della tradizione. In una sala affacciata ad una tipica dolina del Carso, offre agli ospiti piatti tipici come la jota o gli gnocchi, spaziando poi tra carni cotte alla brace e arrosti in forno a legna, tipici contorni e dolci fatti in casa. La carta dei vini propone i tre autoctoni: Vitovska, Malvasia e Terrano.

Bajta organizza banchetti e ricevimenti anche a buffet in cantina o nella sala del ristoro agrituristico.
 

Ospitalità

Bajta ha 5 camere doppie, ideali per un week-end dedicato al relax e alla natura. La colazione è compresa nel prezzo: d’estate viene servita sulla terrazza all’aperto, d’inverno nella sala riscaldata dal grande caminetto.
 

Lo spaccio enogastronomico

Lo spaccio offre vini sfusi o imbottigliati, carni suine e bovine, salumi e il celebre prosciutto crudo del Carso. Sono anche disponibili olio e miele prodotti da altre aziende agricole del territorio.

 

Informazioni

Indirizzo: Bajta – Sales / Salež 108, 34010 Trieste.

Orari ristoro: giovedì e venerdì 10-24; sabato 10-24; domenica 10-17.

Orari bottega enogastronomica: giovedì e venerdì 9-14; sabato 9-12; domenica 9-12.30.

 

Tel.: +39 040 2296090 – Cell. +39 338 3676498

Fax: +39 040 2033797

Pernottamento (9-20): + 39 339 3678152

E-mail: info@bajta.it

Sito internet: www.bajta.it

 

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Ex Chiesa di San Michele Affrescoteca

L’ottocentesca Chiesa di San Michele, che si trova accanto a Porta Udine e che è stata ricostruita dopo il terremoto del 1976 a cura della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, ospita oggi l’Affrescoteca. L’esposizione raccoglie affreschi databili dal XIV al XVII secolo, tra cui il ciclo illustrante la Vita della Vergine, il Compianto di Cristo morto e una sinopia proveniente dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie e da San Giovanni in Brolo raffiguranti Santi e La cavalcata dei Re Magi, nonché una Madonna con Bambino, che ornava la facciata dell’Ospedale San Michele, tutte opere di anonimi pittori friulani, staccate e restaurate dopo il sisma.

 
 
 
 
 
 
 
 

Informazioni


Servizi: visite guidate; accessibile ai disabili

Indirizzo: Largo Porta Udine, Gemona del Friuli

Tel.: 0432 971399 (in orario di apertura del museo)

Informazioni: al Comune di Gemona del Friuli (Tel.: 0432 973258) o all’Ufficio Turistico di Gemona – IAT – (Tel.: 0432 981441; Fax: 0432 971090; E-mail: info@gemona.fvg.it)

Orari di apertura: da ottobre a maggio sabato e domenica 10.00-18.00 (in caso di maltempo l’Affrescoteca rimane chiusa per evitare danni agli affreschi causa l’eccessiva umidità); da giugno a settembre tutti i giorni; apertura anche in altri giorni e orari su richiesta all’Ufficio Turistico di Gemona

Ingresso: gratuito

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Sesto al Reghena

Sesto – che trae il nome dal fatto di essere stata un’antica stazione militare romana, situata al sesto miliario della strada che portava da Iulia Concordia al Norico – è un’Abbazia benedettina fondata dai longobardi nella prima metà dell’VIII secolo col nome di Santa Maria di Sesto, nei cui pressi crebbe il borgo attraversato dal fiume Reghena.

Vi si accede passando sotto il Torrione Grimani – unico superstite delle sette torri che difendevano le mura – che, fino al Settecento, era posto a guardia del ponte levatoio. Di fronte s’innalza la torre campanaria, già torre di vedetta della metà dell’XI secolo. Un arco sovrastato da trifore e affreschi dell’XI-XII secolo immette all’abbazia fortificata, cinta di mura e filari di cipressi, detta anche di Santa Maria in Sylvis poiché sorta nel mezzo di una vasta foresta. Questa, nel 762, beneficiò delle donazioni di tre nobili longobardi: Erfo, Marco e Anto. Dopo le devastazioni degli Ungheri, che nell’899 la rasero pressoché al suolo, fu ricostruita a partire dal 960, assumendo l’aspetto di castello fortificato con fossati e torri, e, sette anni più tardi, l’imperatore Ottone I donò l’abbazia-castello al Patriarcato di Aquileia.

In Piazza Castello si affacciano l’antica cancelleria abbaziale in mattoni, la residenza degli abati, attuale sede municipale e una loggetta affrescata con scene cavalleresche della fine del Duecento. Il portico d’accesso al vestibolo della chiesa è affrescato con le raffigurazioni dell’Inferno e del Paradiso attribuite ad Antonio da Firenze e ai suoi allievi. L’adiacente sala delle udienze, ospita oggi la pinacoteca.

Nell’atrio romanico, diviso in tre navate, si nota l’affresco trecentesco con l’Incontro dei tre vivi e dei tre morti; anche l’interno della chiesa è riccamente decorato: nella zona presbiteriale alcune splendide raffigurazioni di scuola giottesca, eseguite intorno al secondo e terzo decennio del Trecento e, nel transetto, fra le altre scene sacre, l’iconografia dell’albero della vita, il Lignum Vitae Christi.

Nella cripta, coperta da volte a crociera, si conservano la quattrocentesca Vesperbild, in pietra arenaria dipinta; l’Annunciazione in marmo fine del Duecento e l’urna di Sant’Anastasia opera di maestranze cividalesi d’età longobarda.

Nella campagna circostante, visitabile attraverso itinerari segnalati, si incontrano i Prati Burovich, ricchi di essenze arboree e floreali autoctone e il parco del lago delle Premarine.

Interessante anche il paesaggio agrario, ricco di campi coltivati, vigne e canali, dove meritano una visita l’antico mulino di Stalis, la chiesetta campestre di San Pietro, le settecentesche Villa Fabris e Villa Freschi Piccolomini e la fontana di Venchieredo, ricordata da Ippolito Nievo ne Le confessioni di un italiano.

 

Informazioni


Dove: Sesto al Reghena in provincia di Pordenone, lungo la direttrice Portogruaro-Conegliano

 

Informazioni: Comune di Sesto al Reghena, Piazza Castello 1 – www.comune.sesto-al-reghena.pn.it

 

Come arrivare: il paese è raggiungibile dall’A28 uscendo a Sesto al Reghena, oppure dalla SS 463

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Filtri

Filtri

La spiaggia libera dei Filtri si raggiunge dalla Strada Costiera, imboccando la via Piccard che porta alla Trattoria Bellariva e al Laboratorio di Biologia Marina (OGS). Alla fine della strada, 64 gradini conducono alla spiaggia adiacente all’omonimo porticciolo.

Caratteristica particolare di questa spiaggia di ciottoli sono le sorgenti di acque dolci che sgorgano nel mare, con l’effetto di un idromassaggio assolutamente naturale. Di fronte alla spiaggia, nel mare pulito e trasparente, sono visibili le numerose “pedocere“ (allevamenti di cozze).

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Castello_Toppo_Travesio

Castello di Toppo

Il castello di Toppo, che si erge su un’altura rocciosa tra i fiumi Meduna e Tagliamento, è documentato a partire dal 1186. Il feudo appartenne all’omonima famiglia che, nel Cinquecento, si trasferì nel palazzo signorile che sorge nel borgo, lasciando cadere in rovina il maniero.

Gli imponenti resti del castello sulle pendici del monte Ciaurlèc dominano l’abitato di Toppo. Si tratta di un esempio ben conservato di architettura fortificata del Friuli tra il XII e il XIV secolo: una costruzione massiccia, munita di una serie di feritoie e disposta su due piani che conserva parte della merlatura ed è delimitata da due cinte murarie, tuttora visibili, di cui la più vecchia supera i 15 metri di altezza. Questa, con andamento poligonale, racchiude il fortilizio con la possente torre-mastio di epoca feudale. Al suo interno, gli scavi archeologici effettuati nel corso del restauro, hanno rinvenuto le prove dell’esistenza di una zecca clandestina che nel primo trentennio del XIII secolo coniava monete false, veneziane e carinziane. A fianco del mastio sorgeva la residenza dei signori di Toppo e, a ridosso della cerchia esterna, trovavano posto il pozzo, le stalle, le rimesse e le piccole officine artigiane. Qui fu eretta anche la chiesetta castellana di Sant’Antonio Abate, con i pregevoli affreschi del XIV secolo. Una strada mulattiera sale dal sottostante villaggio al castello, attraversando il bosco.

 

Informazioni

Indirizzo: Frazione Toppo, Travesio

Stato di conservazione: ruderi

Informazioni e visite: Ufficio Turistico di Toppo
Palazzo Toppo-Wassermann
via Verdi 98,
33090 Toppo di Travesio, PN

Tel. 0427 90350
turismo@comune.travesio.pn.it

Orari di apertura:
Mercoledì
9:00 – 12:00
Sabato e Domenica
9:30 – 12:30
14:30 – 17:30

www.castelloditoppo.eu
Fb: @ufficioturisticotoppo

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